Il pugilato «dolce» arriva a Prato per curare il Parkinson. Lo sport, soprattutto nei malati più giovani, può contribuire a rallentare la malattia e migliorare le prestazioni degli arti. Negli Stati Uniti è realtà da tempo, a Firenze una decina di pazienti sono in cura al Centro Training Lab e ora questa pratica arriverà anche a Prato. L’idea è del dottor Maurizio Bertoni (presidente dell’associazione «Un gancio al Parkinson»), sostenuta dall’avvocato Massimiliano Baldesi, presidente della Pugilistica Toscana. «QUESTA PRATICA – ha spiegato il dottor Bertoni, ortopedico – serve a coordinare gli arti e a migliorare la postura, le capacità di deambulazione e di respirazione. I corsi di pugilato senza contatto sono iniziati da qualche mese, curati da pugili professionisti come Vigan Mustafà, titolo italiano categoria Mediomassimi 2018, che hanno seguito uno stage di preparazione per entrare nel team medico del Centro. A Prato ancora non ho i dati sui malati di Parkinson ma sicuramente ci sono e nel frattempo vogliamo far sapere che ci sarà questa opportunità. I pazienti di Firenze hanno un’età media di 40/45 anni, sono uomini e donne. Il pugilato può essere un deterrente per rallentare il decorso, altrimenti devastante, di quella malattia che colpì e fermò il noto pugile Cassius Clay». La boxe, lo ricordiamo, è uno degli sport più antichi del mondo è uno dei più completi, proprio perché praticandolo si sviluppano la coordinazione dei movimenti, soprattutto tra braccia e gambe e l’armonia muscolare. L’associazione «Un gancio al Parkinson» è stata presentata ieri nel corso della cerimonia della «pesa» dei pugili che stasera si affronteranno all’Estraforum all’incontro «Boxe Night Prato», titolo italiano supermedi. «E’ una disciplina – ha aggiunto Bertoni – utile per il miglioramento di certe qualità che spesso si perdono sia per l’età che appunto in occasione di malattie neuro degenerative e il pugilato senza contatto è la disciplina più soft e completa per combattere l’irrigidimento muscolare dovuto al Parkinson. Servono due sedute alla settimana di allenamento per almeno due mesi per vedere i primi risultati sul paziente». Il rallentamento della malattia rende la vita quotidiana più agevole: le persone malate sono in grado di muoversi e camminare in modo migliore, con più equilibrio. E anche dal punto di vista psicologico si hanno dei miglioramenti.
(La Nazione)